La autonomía de la función electoral desafiada…
Revista de la Sala Constitucional / ISSN: 2215-5724 / No. 1 (2019)
Roberto Romboli
Università di Pisa
1. Premessa. – 2. La “pervasività” della ragionevolezza e la difficoltà di una
sua definizione. La ragionevolezza come criterio di interpretazione. Le stagioni
della ragionevolezza: a) la copertura costituzionale del principio di
eguaglianza; b) la irragionevolezza “intrinseca”.
– 3. c) la ragionevolezza ed il bilanciamento di diritti e di interessi.
Alcune ipotesi particolari di bilanciamento: la materia penale e tributaria; la
incidenza del “costo” delle sentenze; il rispetto delle regole processuali. – 4.
La incidenza delle fattispecie concrete sull’attività di bilanciamento. I
riflessi sulla tipologia delle decisioni: le additive di principio, la
illegittimità costituzionale sopravvenuta; il nuovo tipo di pronuncia utilizzato
nel c.d. caso Cappato. – 5. Il controllo di ragionevolezza ed i riflessi sulla
legittimazione della Corte costituzionale nel sistema. Il controllo di
costituzionalità come elemento integrante del procedimento legislativo e la
Corte come terza camera: critica. – 6. I bilanciamenti all’epoca della tutela
multilivello. I bilanciamenti derivanti dalla realizzazione del sistema di
protezione dei diritti e dalla efficacia della giurisprudenza della Corte Edu. I
bilanciamenti dopo il valore giuridico della CDFUE ed il problema della doppia
pregiudizialità.
1.
“L’argomento presenta una notevole difficoltà sia per la necessaria ampiezza di
richiami sia per la impossibilità della
reductio ad unum. Parlo ad una platea di altissimo livello: chiedo scusa
perciò perché difficilmente sarò in grado di soddisfarla”.
Così Paolo Barile iniziava la sua relazione al seminario organizzato dalla Corte
costituzionale ventisette anni fa e dedicato al principio di ragionevolezza
nella giurisprudenza della Corte costituzionale ([1]).
Lo scopo di questo scritto è una riflessione sul principio di ragionevolezza ed
in particolare sull’aspetto relativo al bilanciamento dei diritti e degli
interessi.
Il tema sarà affrontato sotto tre diversi aspetti: il primo allo scopo di
ripercorrere l’evoluzione che ha avuto in questi anni il canone della
ragionevolezza; il secondo relativo alla ragionevolezza come bilanciamento ed ai
suoi riflessi sulla natura e la legittimazione della Corte costituzionale; il
terzo sulla influenza della c.d. tutela multilivello sull’attività di
bilanciamento.
2.
Un carattere che unanimemente viene riconosciuto al criterio della
ragionevolezza è quello della sua “pervasività”, così ad esempio, solo per
citare alcune tra le molte affermazioni in tal senso, Marta Cartabia ha di
recente rilevato come “parlare di ragionevolezza e di proporzionalità, equivale
a parlare del lavoro quotidiano della Corte costituzionale” ([2])
e Franco Modugno ha scritto che “l’attuale controllo di costituzionalità è
totalmente pervaso dal metodo della ragionevolezza: è un controllo di
ragionevolezza” ([3]).
Anche in ragione di ciò la dottrina ha incontrato difficoltà allorchè si è posta
nell’idea di definire la ragionevolezza, limitandosi a sottolineare che trattasi
di un criterio onnipervasivo di misurazione della legalità e della adeguatezza
della scelta politica consacrata nell’atto ([4]),
oppure che la giurisprudenza sulla ragionevolezza appare ormai del tutto
ingovernabile, in quanto si è negli anni trasformata in una sorta di valutazione
circa la ingiustizia della legge ([5])
o che trattasi di una nozione “inafferrabile nel suo contenuto” ([6]).
Per questo si è preferito da alcuni procedere in senso negativo, nel senso di
indicare che cosa la ragionevolezza “non è” ([7]),
fino ad affermare in maniera radicale che “il principio di ragionevolezza non
esiste” o meglio che si tratta solo di formule verbali alle quali non
corrisponde un concetto o una nozione ben determinati ([8]).
In proposito mi pare assolutamente convincente quanto scrive in proposito
Roberto Bin nel suo intervento al Convegno in ricordo di Livio Paladin.
Questi i passaggi più significativi: la ragionevolezza non è affatto un fenomeno
nuovo, ma avvicinabile a luoghi tipici della tradizionale teoria della
interpretazione giuridica, nella quale è costantemente presente l’esigenza di un
ragionevole bilanciamento degli interessi contrapposti; quello che viene
indicato come un fenomeno nuovo ed inquietante (il giudizio di ragionevolezza)
si compone di strutture argomentative ben note alla tradizione ermeneutica dei
giuristi, ne utilizza segmenti di ragionamento ben collaudati e li compone
secondo schemi certificati; l’interprete non può operare senza l’aspettativa di
trovare una risposta coerente, ragionevole “accettabile” ad ogni problema che
gli venga proposto, si tratta di una vera e propria regola deontologica per il
soggetto dell’interpretazione-applicazione del diritto, che da un materiale
incoerente e forse contraddittorio
deve trarre una soluzione univoca del problema del “caso”; cosa cambia quando si
passa dall’attività di interpretazione delle leggi al giudizio di legittimità
delle stesse? Muta solo l’intensità, l’efficacia di alcuni strumenti, non la
loro struttura ([9]).
Non si può, di conseguenza, non concordare che trattasi di attività che riguarda
non solo il rapporto tra la Corte ed il legislatore, ma un rapporto trilatero:
giudici comuni, Corte, legislatore ([10]).
La copertura costituzionale del canone della ragionevolezza viene, come noto,
identificata nel principio di eguaglianza e quindi nell’art. 3 Cost., dal quale
si trae, fin dalla prima giurisprudenza costituzionale, il criterio per cui
situazioni eguali debbono essere trattate in maniera eguale, mentre situazioni
diverse debbono ricevere un diverso trattamento. In base a ciò risulta
incostituzionale sia il pari trattamento di situazioni diverse, come il diverso
trattamento di situazioni eguali.
Il diverso trattamento per cittadini che versano in situazioni simili o
analoghe, risulta quindi incostituzionale allorchè non sia supportato da “un
ragionevole motivo” (sent. 15/1960).
Strettamente connesso il riferimento al
tertium comparationis, allorchè la incostituzionalità di una legge deriva
dal confronto con il diverso trattamento che altra legge riconosce a situazioni
uguali o simili: se due leggi regolano la stessa situazione in maniera diversa,
una legge delle due è contraria al principio di eguaglianza ed il trattamento
deve quindi essere “livellato” da parte della Corte costituzionale, la quale può
farlo “all’alto” oppure “al basso”.
Una seconda fase per la ragionevolezza è rappresentata da quella che viene
indicata comunemente come ragionevolezza o irragionevolezza “intrinseca”, nel
senso che essa risulta in maniera evidente e ciò può accadere per diverse
ragioni.
Tra queste il caso in cui la irragionevolezza sia oggettivamente ricavabile dal
contenuto della legge per la evidente difformità tra gli scopi dichiarati e le
misure previste o dalla erroneità di quanto previsto o per altro ancora.
Altra ipotesi è quella di contrasto con i dati ricavabili da risultati
scientificamente provati e indiscussi: basti ricordare i diversi interventi
della Corte costituzionale su aspetti della legge sulla procreazione
medicalmente assistita o, più banalmente, sulla mancata previsione per le
macchine rilevatrici della velocità di verifiche periodiche di funzionalità
(sent. 113/2015).
Ipotesi particolare è quella della “irragionevolezza sopravvenuta”, in ragione
di mutamenti normativi, evoluzione dei costumi, che hanno reso anacronistiche
certe scelte legislative, si pensi per fare qualche esempio all’adulterio della
moglie (sent. 126/1968), al reato di bestemmia, quale tutela della religione
cattolica come religione di stato (sent. 440/1995), alla condizione di celibato,
nubilato o vedovanza quale requisito per il reclutamento nel corpo della guardia
di finanza (sent. 445/2002).
Il vero salto di qualità avviene quando la ragionevolezza diviene il criterio
attraverso il quale la Corte costituzionale verifica il bilanciamento tra i
diversi interessi ([11]),
che fa scrivere a Gianni Ferrara che la evoluzione giurisprudenziale ha reso
l’art. 3 Cost. “irriconoscibile” ([12])
La Corte ormai da tempo ha preso atto della autonomia della ragionevolezza dal
principio di eguaglianza. Nella recente sent. 20/2019 si legge: la questione
viene esaminata “sia sotto il profilo della violazione del principio di
ragionevolezza, sia sotto il profilo della lesione del principio di eguaglianza”
ed è accolta per violazione “sia del principio di ragionevolezza, sia del
principio di eguaglianza”.
3.
Nella sua attività di bilanciamento fra differenti diritti che trovano tutti un
fondamento nella Costituzione, la Corte ha da tempo sostenuto di dover negare la
natura assoluta di un diritto, seppure fondamentale, dovendosi lo stesso
bilanciare con gli altri diritti, allo scopo di individuare la soluzione che
risulti di maggior soddisfazione, ma anche di minor sacrificio per i diritti in
gioco ([13]).
Dando per pacifico che l’attività di scelta spetta al legislatore, in ragione
del suo carattere rappresentativo, la Corte interviene solo allorchè la scelta
legislativa risulti palesemente irragionevole.
Uno spazio più ampio, per la Corte e direi soprattutto per i giudici, viene a
porsi allorchè, a fronte di diritti fondamentali, il legislatore risulti inerte
e non intervenga allo scopo di dare attuazione a quel diritto. In questo caso
infatti non si tratta di giudicare sulla scelta effettuata dal legislatore, ma
di interpretare direttamente il testo costituzionale, in sostituzione di un
compito istituzionalmente spettante al parlamento.
Il bilanciamento è attività che, sia per il legislatore come per la Corte ed i
giudici, non è esercitata in astratto ed una volta per tutte, ma il più spesso
tiene conto delle fattispecie concrete ed in ogni caso è legata alla situazione
ed al momento in cui viene esercitata.
Per questo una determinata situazione può, a fronte dei medesimi principi
costituzionali, essere normativamente qualificata ora come delitto, ora
addirittura come diritto (si pensi all’odc al servizio militare) o giungere da
parte della giurisprudenza costituzionale, anche a breve distanza di tempo, a
risultati diversi (si pensi alla recente vicenda relativa allo stabilimento Ilva
di Taranto ([14])).
Nell’attività di bilanciamento, sotto l’aspetto del controllo di ragionevolezza
delle scelte operate dal legislatore, alcune materie, per la loro delicatezza,
subiscono, come noto, un trattamento particolare e fanno registrare un maggiore
self restraint da parte del Giudice
costituzionale, mi riferisco in particolare alla materia penale ed a quella
tributaria.
La medesima attività di bilanciamento ha poi posto, almeno in due casi, problemi
specifici e di natura in parte diversa dalla normalità, mi riferisco al fenomeno
conosciuto come quello del “costo delle sentenze” ed alla possibilità di porre
in bilanciamento, accanto a elementi sostanziali anche il rispetto delle regole
del processo costituzionale.
Per il primo ([15]),
si è posto in diversi momenti il problema connesso alla incidenza delle
dichiarazioni di incostituzionalità sul bilancio dello Stato e se questo possa
essere un elemento tale da escludere la pronuncia di incostituzionalità per non
creare problemi alle casse dello Stato.
In una prima fase il tema fu affrontato con riguardo al principio stabilito
dall’allora art. 81, ult. comma, Cost. e alcuni fecero notare come poteva
apparire paradossale che, mentre per parlamento grava l’obbligo, in caso di
nuovi o maggiori oneri contenuti in una legge, di indicare i mezzi per farvi
fronte, la Corte potesse invece creare anche grossi problemi finanziari, senza
aver alcuno obbligo in proposito ([16]).
La posizione maggiormente condivisibile espressa in dottrina fu nel senso che,
mentre la previsione costituzionale dell’art. 81 certamente non poteva ritenersi
applicabile alle sentenze della Corte, anche l’equilibrio di bilancio
rappresenta un valore da tenere in conto nell’opera di bilanciamento, al pari
degli altri principi che vengono in gioco. Pertanto la Corte può senz’altro
prendere in considerazione l’incidenza economica delle sue sentenze, dandone
conto attraverso una puntuale e diffusa motivazione.
Più recentemente una simile esigenza ha condotto la Corte ha derogare alle
regole (anche costituzionali e senz’altro legislative) del suo processo, con
riferimento agli effetti delle dichiarazioni di incostituzionalità, giungendo a
negare l’efficacia delle stesse nel giudizio
a quo (sent. 10/2015).
Questo ci porta alla seconda ipotesi alla quale accennavo: se il bilanciamento
possa essere svolto ponendo in gioco anche il valore rappresentato dal rispetto
delle regole del processo costituzionale.
Una risposta affermativa viene data da quanti hanno sostenuto che si deve
sottoporre a bilanciamento tutto ciò che ha rilievo ai fini di un esito
ragionevole del giudizio costituzionale, non importa se processuale o di merito
([17])
o che le regole processuali debbono essere piegate al risultato da raggiungere ([18]),
sul quale poi l’attività della Corte sarà giudicata.
Come già espresso in altre occasioni ([19]),
ritengo che le regole del processo costituzionale debbono invece essere
considerate come una cornice entro la quale la Corte svolge la sua attività,
compresa quella del bilanciamento. Solo il rispetto della cornice e quindi delle
regole processuali, legittima l’attività della Corte, mentre il loro inserimento
nell’attività di bilanciamento non può che significare la negazione alle stesse
di qualsiasi valore, dal momento che sempre potrebbero essere violate in nome di
altri, prevalenti, interessi o valori.
Il rispetto del proprio processo appare infatti come la principale
caratteristica che qualifica la Corte come un soggetto che opera quale giudice
(seppure particolare), distinguendosi dal modo di operare dei soggetti politici.
4.
Per terminare su questo primo aspetto vorrei svolgere due considerazioni di
carattere generale, la prima, in parte anticipata, riguarda il significato che
nell’attività di bilanciamento viene ad assumere il caso concreto e la seconda
sui riflessi della suddetta attività nella scelta del dispositivo della
decisione.
Pure se il giudizio della Corte costituzionale si svolge su atti normativi,
pertanto di portata generale ed astratta, credo infatti che nell’attività di
bilanciamento il caso concreto viene ad esercitare in varie ipotesi un peso
importante, a volte decisivo ([20]).
Si pensi al notissimo caso della differenza di età tra adottante e adottato ed
alla regola secondo cui la differenza massima di età non deve essere superiore
ai quaranta anni, di fronte ad un minore che superava tale limite per tre mesi.
La Corte dichiarò la incostituzionalità della norma, nella parte in cui non
prevedeva che il giudice potesse disporre l'adozione, valutando esclusivamente
l'interesse del minore, quando l'età di uno dei coniugi adottanti superasse di
oltre quaranta anni l'età dell'adottando, pur rimanendo la differenza di età
compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli, se dalla
mancata adozione deriva un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore
(sent. 303/1996) ([21]).
Tra i molti casi può essere ricordato quello più recente relativo alla perdita
di potestà genitoriale, nel quale una signora coniugata, con marito detenuto,
dopo aver partorito una bambina, aveva dichiarato che trattavasi di figlia
naturale, omettendo di dire che la piccola era stata concepita in costanza di
matrimonio e falsificando così lo stato della bambina, non avendone dichiarato
lo stato di figlia legittima, allo scopo però di tutelare l’interesse della
stessa.
La Corte ha
ritenuto la norma incriminatrice non conforme al principio di ragionevolezza in
quanto, ignorando l’interesse del minore, statuisce la perdita della potestà
sulla base di un mero automatismo, che preclude al giudice ogni possibilità di
valutazione e di bilanciamento, nel caso concreto, tra l’interesse stesso e la
necessità di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e
delle caratteristiche dell’episodio criminoso, tali da giustificare la detta
applicazione appunto a tutela di quell’interesse (sent. 31/2012) ([22]).
La seconda
considerazione riguarda, come detto, l’incidenza dell’attività di bilanciamento
sulla tipologia delle decisioni della Corte.
Ad evitare
l’accusa di sconfinamento, attraverso il giudizio di ragionevolezza, in un campo
riservato alle scelte discrezionali del legislatore e quando le “rime obbligate”
non risultavano sufficienti a motivare l’intervento della Corte, questa elaborò
la categorie delle additive di principio, attraverso le quali la norma impugnata
viene dichiarata incostituzionale, ma non attraverso una sentenza
manipolativa-additiva a carattere autoapplicativo. La Corte si limita in questi
casi a fissare un principio, in modo che il legislatore possa darvi attuazione
attraverso un proprio intervento legislativo.
Come noto
questo tipo di decisione ha determinato, di fatto, essenzialmente un ampliamento
del potere interpretativo-creativo del giudice il quale, in mancanza di un
intervento del legislatore, ha fatto diretta applicazione del principio indicato
dalla Corte per la soluzione del caso specifico da decidere.
In altro
periodo la Corte ha sperimento le c.d. sentenze di illegittimità costituzionale
sopravvenuta, allorchè si è trovata a dover bilanciare l’esigenza di eliminare
una norma sicuramente incostituzionale con la necessità di non creare una
situazione di maggiore incostituzionalità.
In un caso già
ricordato, fortunatamente rimasto per adesso isolato, ha deciso di limitare gli
effetti della dichiarazione di incostituzionalità, escludendone l’efficacia per
il giudizio nell’ambito del quale la questione era stata sollevata, con evidente
frustrazione della natura incidentale della questione.
Più
recentemente la Corte è pervenuta alla creazione di un nuovo tipo di decisione,
con riguardo al c.d. caso Cappato.
Ritenuta, nella
sua assolutezza, la incostituzionalità della norma che sanziona l’aiuto al
suicido, ha ritenuto però, “almeno allo stato”, di non potervi porre rimedio,
dal momento che i delicati bilanciamenti che la questione pone debbono ritenersi
affidati, “in linea di principio”, al parlamento.
La Corte ha
ricordato come finora in casi simili ha operato attraverso una decisione di
inammissibilità, accompagnata da un monito al legislatore ad intervenire, ma
che, per le particolari caratteristiche del caso esaminato, era necessario
ricorrere ad un nuovo tipo di decisione.
Facendo leva
sui propri poteri di gestione del processo costituzionale, la Corte decide di
sospendere il giudizio e rinviare ad una nuova udienza, fissata per il 24
settembre 2019, restando così sospeso il giudizio a quo, allo scopo di
consentire al parlamento, “in spirito di leale collaborazione”, ogni opportuna
iniziativa, così da evitare l’applicazione di una legge ritenuta
incostituzionale, ma anche da scongiurare possibili vuoti di tutela di valori,
anch’essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale (ord. 207/2018).
Successivamente, a fronte del bilanciamento tra il diritto alla riservatezza dei
dati personali ed il principio di trasparenza e libero accesso ai dati ed
informazioni detenute presso le pubbliche amministrazioni, la Corte applica il
test di proporzionalità alle soluzioni previste dalla legge, allo scopo di
giudicare sulla loro ragionevolezza.
Ritenendo,
anche in questo caso, che occorra un intervento del legislatore, la Corte
conclude, per alcune fattispecie, nel senso della “provvisoria congruenza” e
della “non irragionevolezza, allo stato” (dichiarando quindi infondata la
questione), per altre invece della “evidente irragionevolezza” (sent. 20/2019).
5.
Che il controllo sulla ragionevolezza della legge potesse determinare una
qualche negativa ricaduta sul principio di separazione dei poteri e, di
conseguenza, anche sulla legittimazione della Corte costituzionale nel sistema,
è stato da tempo autorevolmente avvertito.
In tal senso
Paolo Barile scriveva: “sono scettico dell’ammissibilità dell’estensione del
sindacato sulla ragionevolezza alla incoerenza intrinseca della legge, perché
questo può portare indubbiamente al mero arbitrio” ([23]),
come pure Livio Paladin, secondo cui la Corte, anche quando si tratta di
ragionevolezza, deve sempre fare riferimento ai parametri costituzionali, sia
pure impliciti, ma sempre ricavabili dalla Costituzione, ad evitare
l’impressione che si faccia diritto costituzionale libero ([24]).
Se è senza dubbio vero che è difficile “ingabbiare” l’attività di bilanciamento
in schemi e test a carattere rigido, anche per la diversità dei casi cui si
applica, appare fuori luogo parlare in proposito di un metabilanciamneto,
rispetto a quello del legislatore, dando l’idea di una sorta di super
legislatore che supera e travolge la distinzione tra legittimità e merito.
Dal momento che ogni legge è il risultato di un’attività di bilanciamento, ciò
significa che allora ogni legge può prestarsi ad essere sindacata sotto il
profilo della sua ragionevolezza ([25]).
Ed in effetti una parte della dottrina è pervenuta alla conclusione di
avvicinare l’attività della Corte a quella del legislatore, attribuendo alla
prima il ruolo di razionalizzare il processo di decisione politica ([26])
e sostenendo che, di fronte al grande malato rappresentato dal parlamento e dal
principio rappresentativo, gli interventi della Corte costituzionale sono
qualificabili come interventi arbitrali, necessari ad attribuire alla legge il
carattere di ragionevolezza-universalità che il parlamento non è riuscito ad
imprimerle, per cui il controllo di
costituzionalità deve essere inserito come elemento integrante il procedimento
legislativo (corsivo aggiunto) ([27]).
Nella stessa linea di pensiero si è scritto, senza mezzi termini, che la Corte,
piaccia o no, è ormai diventata una terza camera e le decisioni sono decisioni
politiche, seppure espresse in forma giurisdizionale ([28]),
attribuendole una funzione mediana, tra le aspettative di giustizia espresse dai
giudici e la salvaguardia della democrazia dei processi di deliberazione
politica e qualificandola come una sorta di “istituzione invisibile” o
“istituzione della riflessività” ([29]).
In senso critico Andrea Morrone ha parlato della ragionevolezza come di un
parametro “bon a tout faire” che produce una sorta di “funzione legislativa
concorrente”, una ragionevolezza ridotta a proporzionalità, un criterio che si
pretende oggettivo ma che è solo la maschera per coprire qualsiasi decisione
diretta a costruire norme giuridiche tarate sul caso concreto ([30]).
Nella ricordata recente ordinanza sul caso Cappato, la Corte costituzionale fa
espresso riferimento allo “spirito di leale collaborazione” fra la Corte ed il
parlamento.
Una finalità ed un criterio che certamente non può che essere condiviso, nessuno
infatti spera che tra i due soggetti si instauri un clima da guerra, purchè però
ognuno dei due soggetti mantenga il proprio ruolo, quel ruolo che il modello di
giustizia costituzionale ideato ed attuato nel nostro paese ha ritenuto di
attribuire loro.
Alla Corte infatti è stata indubbiamente attribuita una natura
antimaggioritaria, in quanto soggetto avente la funzione di controllare,
ab esterno, le scelte della
maggioranza parlamentare allo scopo di sanzionarle per l’ipotesi in cui queste
si rivelino non rispettose dei principi costituzionali.
Qualcosa quindi di assai diverso da una terza camera o da un controllo che si
inserisce nel procedimento legislativo.
Quanto poi alla legittimazione nel sistema, nei confronti di una Corte
co-legislatore e al tempo stesso con il potere di annullare leggi del
parlamento, potrebbero tornare attuali i dubbi sollevati da Palmiro Togliatti
nei confronti della previsione di un Giudice delle leggi.
Come in altre occasioni già sostenuto, credo che la legittimazione a controllare
ed eventualmente annullare le scelte del legislatore può essere riconosciuta
alla Corte solamente se ed in quanto opera come un giudice, secondo un metodo
giurisdizionale, seppure ovviamente adeguato alla funzione attribuita a un
giudice del tutto particolare e certamente caratterizzato da una politicità
assai maggiore rispetto a quella di un giudice comune.
In sintesi essere giudice significa mantenere sempre fermo il riferimento al
testo della Costituzione ed ai significati che dalla stessa si possono trarre;
rispettare le regole del suo processo, senza escludere una loro, anche generosa,
interpretazione ma senza mai giungere ad una loro palese e dichiarata
violazione; motivare, anche attraverso il richiamo ai precedenti, in maniera
chiara e diffusa le proprie decisioni, in modo da distaccare nettamente la
propria attività da quella dei soggetti politici ([31]).
6.
Una ultima breve riflessione vorrei dedicarla all’attività di bilanciamento
nell’epoca della tutela multilivello, partendo dalla convinzione, da tutti
condivisa, che la finalità da perseguire è quella della massima espansione e
della migliore tutela dei diritti. Per questo anche l’attività di bilanciamento
non può non tenere in conto del livello sovranazionale.
Limitandomi ad una mera schematizzazione, partirei dal distinguere il livello di
tutela derivante dai rapporti con la Cedu e con la giurisprudenza della Corte
Edu da quella connessa con l’ordinamento comunitario.
Per il primo, a sua volta, distinguerei tra le ipotesi di bilanciamento derivato
dalla relazione con il sistema di tutela dei diritti davanti alla Corte Edu, da
quelle in cui un medesimo diritto riceve tutela sia dalla nostra Costituzione
che dalla Cedu.
Per la prima ipotesi l’esempio migliore deriva dalla necessità che si è posta di
bilanciare il rispetto della cosa giudicata, con i valori di rilievo
costituzionale da questa espressi, con l’obbligo di dare attuazione ed
effettività alle sentenze di condanna con cui la Corte Edu rileva che,
nell’ambito del giudizio che ha condotto alla cosa giudicata, vi sono state
violazioni dei principi tutelati dalla Cedu.
La Corte ha ritenuto in questo caso, dopo ripetuti quanto inutili inviti al
legislatore, di dare la prevalenza al secondo, individuando essa stessa una
soluzione e pur sottolineando la libertà del legislatore di regolare
diversamente la materia e di pervenire per altro verso alla soluzione del
problema (sent. 113/2011).
Per la seconda ipotesi, la Corte, come noto, nelle sentenze gemelle ha sostenuto
che le disposizioni della Cedu devono essere interpretate nel significato ad
esse attribuito dalla Corte di Strasburgo.
Tale affermazione ha poi subito successivamente una precisazione o meglio una
riduzione ad opera del richiamo al criterio sostanziale della tutela più
intensa, al riferimento al margine di apprezzamento, alla necessità che si
tratti di una giurisprudenza consolidata e soprattutto, per quello che riguarda
il nostro tema, al diverso modo di operare delle due Corti.
La Corte costituzionale ha infatti rilevato come, mentre la Corte europea
procede ad un esame che pone ad oggetto il singolo diritto la cui violazione è
stata denunciata, essa è tenuta a prendere in conto i diversi valori non in
maniera parcellizzata, ma in modo sistemico e non isolato dei valori coinvolti,
in quanto è tenuta ad un’attività di bilanciamento, che solo lei è attrezzata a
svolgere in maniera adeguata.
Passando quindi all’ordinamento comunitario, un elemento di sicura importanza
per il nostro tema è rappresentato dalla trasformazione del rinvio pregiudiziale
da strumento per richiedere la corretta interpretazione del diritto dell’Unione
a strumento con cui denunciare il contrasto della normativa nazionale con il
diritto comunitario di diretta applicazione. Uno strumento per molti versi
accostabile quindi alla questione di costituzionalità, con la differenza che il
giudice opera in un caso in un sistema di tipo accentrato, nell’altro di tipo
diffuso.
I problemi non sono emersi, almeno in maniera così frequente, fintanto che si
trattava di valutare il contrasto di una regola contenuta in una legge nazionale
con quella contenuta ad esempio in un regolamento comunitario: in caso di
ritenuto contrasto, il giudice si limitava a sostiuire la regola nazionale con
quella comunitaria.
La situazione è chiaramente cambiata allorchè è stata riconosciuta efficacia
giuridica alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea la quale, di
natura evidentemente costituzionale, è organizzata non secondo regole, ma
secondo principi ed implica quindi, di necessità, un’attività di bilanciamento ([32]).
Molti i casi in cui una legge nazionale può contrastare con i principi
costituzionali ed altresì con quelli, analoghi, della Carta ed evidente quindi
il timore del Giudice costituzionale di essere estromesso dall’attività di
bilanciamento o di arrivare troppo tardi.
Questo spiega certi recenti mutamenti della giurisprudenza costituzionale, anche
in diretto contrasto con quanto precedentemente sostenuto, come per la
legittimazione della Corte a effettuare il rinvio pregiudiziale a Lussemburgo o,
più recentemente, a proposito della doppia pregiudizialità.
Dopo aver per molti anni affermato la priorità, per il giudice comune, del
rinvio pregiudiziale rispetto alla questione di costituzionalità, la Corte ha
introdotto una “deroga” per l’ipotesi in cui il giudice ritenga possa esservi
violazione di un diritto garantito sia a livello costituzionale che della Carta,
invitando il giudice a sollevare prioritariamente la questione di
costituzionalità (sent. 269/2017).
Come poi reso più chiaro dalla successiva giurisprudenza (sent. 20 e 63/2019),
trattasi di un invito non sanzionato, né sanzionabile da parte della Corte, la
quale dovrà convincere i giudici della bontà delle ragioni poste a fondamento di
questo invito.
Le ragioni risiedono nella volontà di scendere in campo prima della Corte di
giustizia nell’attività di bilanciamento, senza con ciò precludere ovviamente il
ricorso del giudice alla Corte di giustizia, che avrà quindi l’opportunità di
dare la propria interpretazione in maniera particolare con riguardo alla Carta
dei diritti dell’Unione.
Come ha insegnato la nota vicenda Taricco, dire la prima parola può
rappresentare la maniera più efficace per far valere, secondo il principio di
“unità nella diversità”, la identità costituzionale, politica e culturale del
nostro paese, allo scopo di concorrere nella formazione delle tradizioni
costituzionali comuni, individuare i confini dei controlimiti e valutare il
margine di apprezzamento su tematiche di particolare sensibilità (ad esempio
matrimonio tra coppie omosessuali, eutanasia ecc.).
(*) Lo scritto è destinato ad una raccolta di lavori dedicati a Roberto
Bin.
[1]
BARILE, Il principio di
ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in
Il principio di ragionevolezza
nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Riferimenti
comparatistici, Milano, 1994, 21.
[2]
CARTABIA, I principi di
ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale
italiana, Roma, 2013, 1.
[3]
MODUGNO, La ragionevolezza
nella giustizia costituzionale, Napoli, 2007, 50.
[4]
MEZZANOTTE, Le fonti tra
legittimazione e legalità, in
Queste istituzioni, 1991, 87.
[5]
CELOTTO, Commento all’art. 3, 1°
comma, in Commentario alla
Costituzione, a cura di Bifulco, Celotto e Olivetti, Torino, 2006,
83.
[6]
ZAGREBELSKY, MARCENO’, Giustizia
costituzionale, I, Storia,
principi, interpretazioni, Bologna, 2018, 170-171.
[7]
CARTABIA, I principi di
ragionevolezza e proporzionalità cit.,….
[8]
PALADIN, Esiste un “principio di
ragionevolezza” nella giurisprudenza costituzionale?, in
Il principio di ragionevolezza
cit., 163 ss., secondo cui sotto la espressione “ragionevolezza” vi è
una generica esigenza di giustizia delle leggi, quel tanto di giustizia
che può essere garantito dalla Corte con le sue decisioni.
[9]
BIN, Ragionevolezza e divisione
dei poteri, in Corte
costituzionale e principio di eguaglianza, Padova, 2002, 159 ss.
[10]
In tal senso BIN,
Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella
giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992, 120 ss. e
Ragionevolezza cit., 172 ss.,
il quale utilizza l’espressione ormai nota di “delega di bilanciamento”
nei confronti dei giudici e della pubblica amministrazione.
[11]
BIN (Diritti e argomenti
cit., 56 ss.) individua le radici del bilanciamento nella giurisprudenza
costituzionale nella dottrina dei c.d. “limiti naturali” dei diritti
fondamentali, che ritrova nella prima sentenza della Corte
costituzionale (sent. 1/1956).
[12]
FERRARA, in Occhiocupo (cur.), La
Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale: bilancio di
venti anni di attività, Bologna, 1978, 89.
[13]
BIN (Diritti e argomenti
cit., 62 ss.) parla in proposito di “topografia del conflitto” per
riferirsi alle modalità attraverso le quali la norma relativa ad un
determinato diritto fondamentale viene ad incidere sull’ambito di tutela
di altro diritto.
[14]
Cfr. sent. 85/2013, in cui ha afferma il principio secondo cui il punto
di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo,
deve essere valutato secondo criteri di proporzionalità e
ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo
essenziale, concludendo nel
senso della ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore.
Dopo cinque anni (sent. 58/2018) la Corte invece è giunta alla
conclusione opposta nei riguardi del successivo decreto legge, ritenendo
che, mentre poteva ritenersi ragionevole e proporzionata la disciplina
contenuta nel d.l. precedente, altrettanto non può dirsi per il
successivo, avendo esso privilegiato in modo eccessivo l’interesse alla
prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze
di diritti costituzionalit inviolabili legati alla tutela della salute e
della vita stessa.
[15]
In proposito v. pure BIN, Diritti
e argomenti cit., 74 ss. e 107 ss.
[16]
NIGRO, Le giurisdizioni sui
pubblici poteri tra sistema normativo e spinte fattuali, in
Dir. Proc. Amm., 1984, 455.
[17]
MEZZANOTTE, Processo
costituzionale e forma di governo, in
Giudizio “a quo” e promovimento
del processo costituzionale, Milano, 1990, 69.
[18]
RUOTOLO, Tra anima politica e
giurisdizionale. A proposito di alcune “oscillazioni” della Corte nel
giudizio di legittimità costituzionale, in Romboli (cur.),
Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte, Torino,
2017, 239 ss.
[19]
Da ultimo, Le oscillazioni della
Corte costituzionale tra l’anima “politica” e quella “giurisdizionale”,
in Ricordando Alessandro
Pizzorusso cit., 10 ss.
[20]
Sul peso decisivo esercitato dalla fattispecie concreta nell’attività di
bilanciamento v. BIN, Diritti e
argomenti cit., 33 ss.
[21]
In dottrina v. ZAGREBELSKY, Il
diritto mite, Torino, 1992, 183, secondo cui “le esigenze dei casi
valgono più della volontà legislatyiva e possono invalidarla. Dovendo
sacrificare le esigenze del caso a quelle della legge, sono queste
seconde che soccombono nel giudizio di costituzionalità al quale la
legge stessa viene sottoposta”.
[22]
La Corte ha dichiarato incostituzionale l’art. 569 c.p., nella parte in
cui prevedeva che, in caso
di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione
di stato, di cui all’art. 567, 2° comma, c.p., dovesse conseguire
automaticamente la perdita della potestà genitoriale, precludendo così
al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore.
CARTABIA (I principi di
ragionevolezza cit.) parla di “razionalità pratica” e cita in
proposito Guitton, secondo cui “ragionevole non significa pura
razionalità, ma sottomettere la ragione all’esperienza”.
[23]
BARILE, Il principio di
ragionevolezza cit., 42.
[24]
PALADIN, Esiste un “principio di
ragionevolezza” cit., 165.
[25]
In tal senso v. BIN,
Ragionevolezza e divisione dei poteri cit., 175 e poi 181 ss.
[26]
RIDOLA, Il costituzionalismo e lo
stato costituzionale, in
Nomos, 2018-2.
[27]
DOGLIANI, La sovranità (perduta?)
del Parlamento e la sovranità (usurpata?) della Corte costituzionale,
in Ricordando Alessandro
Pizzorusso cit., 75 ss., secondo cui l’intervento della Corte si
porrebbe su un piano di parità rispetto a quello parlamentare e non
dovrebbe essere visto come un controllo “nemico”, estraneo al processo
di produzione della legge, bensì quale un controllo cooperativo.
[28]
SPADARO, Sulla intrinseca
“politicità” delle decisioni “giudiziarie” dei tribunali costituzionali
contemporanei, in Ricordando
Alessandro Pizzorusso cit., 117 ss.
[29]
REPETTO, Il canone della
incidentalità costituzionale. Trasformazioni e continuità nel giudizio
sulle leggi, Napoli, 2017,….
Secondo PFERSMANN, Giustizia
costituzionale tra politica e diritto, in
Ricordando Alessando Pizzorusso
cit., 87 ss. decidere e ragionare secondo criteri extra-giuridici e di
natura politica rende la conformità alla Costituzione contingente,
indebolisce lo stato di diritto e corrode la continuità costituzionale.
[30]
MORRONE, Suprematismo
giudiziario. Spunti su sconfinamenti e legittimazione della Corte
costituzionale, in Quaderni
costituzionali, 2019,….
[31]
Una adeguata motivazione per dare conto di oscillazioni di fronte a
problemi analoghi, altrimenti difficili da giustificare.
Rilevava BRANCA (Relazione
conclusiva, in La Corte
costituzionale tra norma giuridica cit., 463) che ciò che più
preoccupa non è lo straripamento, quanto la instabilità della
giurisprudenza costituzionale, sottolineando come mentre in taluni casi,
di fronte al rispetto della discrezionalità del legislatore, “scala le
montagne, altre volte si ferma dinnanzi a un piccolo muricciolo a secco
che potrebbe saltare facilmente”.
[32]
Sulla distinzione tra regole e principi e nel senso che
i “diritti” trovano fondamento testuale in disposizioni
costituzionali, ma come norma, perciò sul piano dei significati, hanno
le caratteristiche operative (nell’interpretazione e nell’applicazione)
dei principi, v. BIN, Diritti e
argomenti cit., 1 ss.